Narrazioni sugli Elementi di Scienza Steleologica di Giulio Portolan

L’essere umano, fin dall’antichità, ha percepito di non esistere come entità isolata, ma come parte di un tessuto più vasto che unisce le vite tra loro.

Questa intuizione, radicata nei miti, nelle religioni e nelle filosofie di ogni epoca, ritorna oggi con rinnovata forza, alimentata dal bisogno di comprendere le relazioni profonde che legano gli individui al tutto.

Il tema dell’unità tra gli esseri umani non è soltanto una questione di conoscenza, ma anche di senso: interrogarsi su tali legami significa chiedersi quale sia il posto dell’uomo nell’universo, quale significato abbia la sua interazione con gli altri e in che modo la singola esistenza possa risuonare nel destino collettivo.

In questo orizzonte si apre uno spazio di riflessione che supera i confini delle discipline, dove la scienza incontra la filosofia e la spiritualità si intreccia con l’indagine razionale. Qui prende forma l’idea che l’umanità non sia un mosaico frammentato, ma un organismo vivente, attraversato da forze invisibili e da connessioni che danno unità al molteplice.

Nel lavoro di Giulio Portolan, Elementi di Scienza Steleologica: alcuni modelli teorizzati per spiegare l’unità organica tra gli esseri umani, rappresenta un contributo originale e stimolante a un tema complesso e affascinante: la possibilità che l’umanità sia connessa non solo sul piano sociale e culturale, ma anche attraverso strutture biologiche, energetiche e cognitive di natura unitaria.

Ciò che colpisce maggiormente è la capacità dell’autore di mettere in dialogo discipline eterogenee – dalla genetica all’epigenetica, dalle neuroscienze alla bioenergetica – proponendo modelli teorici che, pur nella loro inevitabile speculazione, aprono scenari di ricerca innovativi. L’ipotesi di un DNA-unitario ad albero, che raccoglie e ridistribuisce informazioni sullo stato di salute collettivo, ha il pregio di dare una chiave di lettura sistemica a fenomeni biologici oggi studiati in forma frammentata.

Altrettanto affascinante è la proposta di un campo energetico condiviso, che richiama teorie non convenzionali ma che si inserisce in un contesto sempre più aperto all’interdisciplinarità, come dimostrano i dibattiti su campi morfogenetici o su ipotesi di informazione quantistica. Portolan non si limita a proporre suggestioni, ma costruisce metafore potenti – come il modello della pentola a pressione e delle valvole – che traducono in immagini chiare dinamiche complesse, rendendo il discorso accessibile senza banalizzarlo.

Un ulteriore punto di forza risiede nell’aspetto etico e politico della teoria. L’idea che attività come lo studio, l’autocontrollo sessuale e l’esercizio fisico non siano meri comportamenti individuali, ma veri e propri contributi al benessere collettivo, ribalta la prospettiva classica della responsabilità sociale, ponendo le basi per un nuovo paradigma di comunità. È in questo passaggio che la riflessione di Portolan acquista un respiro quasi utopico, capace di ricordare le aspirazioni più alte di progetti filosofici e politici come quello marxista.

Naturalmente, molte delle ipotesi avanzate richiedono verifiche sperimentali e un consolidamento teorico che solo il tempo e la ricerca interdisciplinare potranno offrire. Tuttavia, è proprio il carattere pionieristico e visionario della proposta a renderla preziosa: non tanto come verità definitiva, ma come stimolo a ripensare l’essere umano non più come individuo isolato, bensì come parte integrante di un organismo più vasto e vivo.

La teoria di Portolan si distingue dunque  per coraggio speculativo, forza immaginativa e apertura interdisciplinare. È un invito a riconsiderare le connessioni profonde che ci uniscono, unendo scienza, filosofia e politica in una visione unitaria che, pur restando ipotetica, merita attenzione e ulteriore esplorazione.

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