Perché Anthony Bourdain si è suicidato?

Perché Anthony Bourdain si è suicidato?

Cosa porta un uomo di 61 anni all’apice del suo successo, famoso,  ricco, invidiato, circondato da belle donne, a prendere la cintura dell’accappatoio e a impiccarsi nel bagno di un hotel in Francia? Ogni anno nel mondo 1,5 milioni di persone si toglie la vita per motivi legati al lavoro. Tra le professioni a maggior rischio, oltre a quella del cuoco, ci sono: ufficiali di polizia, pompieri, medici, detective, soldati, contadini, pescatori e forestali, tecnici riparatori, camionisti, manager, operatori finanziati, addetti alle pulizie. Ma cosa spinge un uomo, una donna di successo al gesto estremo?
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Lo abbiamo chiesto alla psicologa-psicoterapeuta Luigina Pugno
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Quali possono essere gli elementi scatenanti? 
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In psicologia si parla di suicidio come di un tentativo anticonservativo. Una definizione importante, perché ha in sé il significato che l’essere umano, come le altre specie, ha in sé una spinta verso la conservazione e la riproduzione. Quando parliamo di suicidio ci si chiede se era un era un “vero” tentativo anticonservativo, ovvero la persona volava veramente morire, o se era un atto dimostrativo, ovvero la persona voleva mostrare a qualcuno la sua grandissima sofferenza per indurre un cambiamento e non per morire. gli elementi che scatena questo grandissimo malessere si costruiscono e sommano nel tempo. Il suicidio non è quindi un evento improvviso, ma l’esito di un percorso di sofferenza fisica e/o morale. E’ un percorso che porta alla depressione e il suicidio diviene l’unico modo per potersi liberare della sofferenza.
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Il suicidio è una scelta personale?
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Frequentemente si. Può anche essere indotto da altri, si pensi al reato di “istigazione o aiuto al suicidio” (art. 580 c.p.). E’ quindi possibile che una o più persone chiedano esplicitamente ad un’altra di uccidersi.
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Parlare del suicidio può incitare le persone a suicidarsi?
La persona per compiere questo atto anticonservativo deve trovarsi in una situazione di grande sofferenza dalla quale non vede altra via d’uscita, o essere assoggettata mentalmente ad un’altra e quindi attuarlo se le viene chiesto. Quello che si nota, dalle statistiche, è che quando avviene un suicidio a cui viene data notizia a livello nazionale (attraverso i media) si ha un leggero aumento dei suicidi.
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Perché ci si suicida?

Ci sono alcune ragioni prevalenti, vediamoli.

– Un forte stato di depressione prolungata. Ciò non significa perché si è tristi da molto tempo. L’umore depresso non è da solo sintomo di depressione. Per fare questa diagnosi ci vogliono altri elementi quali: sintomi somatici (disturbi del sonno, dell’alimentazione e della motricità), comportamentali (ritiro sociale, cura di sé), emotivi (tristezza, apatia, anedonia), sintomi cognitivi (contenuto dei pensieri, ruminazione). (es dell’attore Robin William)

– diagnosi di schizofrenia in cui la voce che si sente istiga al suicidio
– sotto l’influsso di sostanze psicoattive (alcol, droga), o di un gioco estremo (es di ragazzi che si privano dell’ossigeno per sperimentare le sensazioni che porta)
– per mancanza di ascolto e aiuto effettivo e/o efficace si ha la sensazione di non essere in grado di affrontare le difficoltà
– perché non si riesce più ad affrontare una malattia fisica per l’algesia o le limitazioni che dà (per citarne un paio) (es il regista Mario Monicelli, o del DJ Fabo)
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Quali sono i segni premonitori del suicidio?

Uno stato prolungato di sofferenza morale, associato a isolamento sociale e a pensieri suicidari possono far temere che la persona metta in atto un comportamento anticonservativo. Talvolta le persone vivono la loro sofferenza nel silenzio e non danno segnali. Purtroppo i terapeuti e gli Enti privati possono intervenire direttamente sulla persona solo se è lei a chiederlo

Cosa occorre fare o non fare?

Segnalare la situazione al medico di base o al Centro di salute mentale di pertinenza, che possono intervenire per offrire aiuto alla persona sofferente e ai suoi familiari. Le persone vicine possono sicuramente offrire ascolto non colpevolizzante, e non fare appelli alla forza di volontà, che viene purtroppo lesa dalla malattia. Far sapere all’altro, chiuso in sé, che chi gli è intorno soffrirebbe per la sua mancanza e che la sua presenza è importante per loro. Non è vero che dal suicidio di qualcuno che conosciamo ci si riprende, che non ci tocchi, e che basta far passare del tempo. E’ anche importante costruire intorno a loro una rete di sostegno fatta di persone e professionisti che collaborano tra di loro.

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Ringraziamo la dottoressa Luigina Pugno, e invitiamo chi abbia domande a indirizzarle al suo cellulare 3288260495  o via email a  luigina.pugno@tiscali.it o collegandosi alla pagina www.psicoterapiasessuologiatorino.it

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